Occulta sarà…. Viaggio all’interno della pubblicità

“Il seguente lavoro risale al 2005 e quindi risente del tempo. Nel mentre la pubblicità ha continuato a trovare altri canali, soprattutto quelli riguardanti internet. C’è però da sottolineare come la cosidettà pubblicità occulta, o quella che allora veniva considerata tale sia evoluta, ma comunque utilizza gli stessi principi base che vengono di seguito descritti. Non posso far altro che augurare una buona lettura.”

La pubblicità, oggigiorno ci circonda, sta dappertutto, sicuramente rappresenta una costante della nostra vita. Nonostante ciò, i canali pubblicitari sono in continua evoluzione e necessitano sempre più di spazi diversi attraverso i quali poter arrivare a più persone possibili.

Product-Placement-JB-anni-70Leggendo il libro di Corti (2004) ci siamo addentrati in un mondo, quello del product placement, che utilizza le apparizioni, apparentemente casuali, all’interno di film e di altri contesti narrativi, di alcuni tipi di prodotti e marchi.

Per spiegare questo fenomeno, ci siamo serviti anche di altri due manuali importanti della psicologia sociale, e cioè quello di Cialdini (1984) e quello della Mucchi Faina (1996), i quali enucleano in modo semplice e facilmente accessibile, i principali meccanismi che costituiscono l’influenza sociale.

Lo scopo di questo breve scritto, sarà quello di spiegare con esempi, accenni storici e teorici, la pubblicità cosiddetta “occulta”, e gli aspetti ad essa correlati. Quindi attraverso questa premessa, abbiamo già utilizzato uno dei principi che verranno tra breve spiegati, e cioè quello dell’impegno e coerenza attraverso il quale dichiarando lo scopo di questo articolo, abbiamo acquistato un po’ della vostra fiducia impegnandoci a spiegare di seguito quanto stabilito, e magari cercando di essere coerenti con lo scopo prefissato.

Prima di addentrarci nella pubblicità è doveroso iniziare l’esposizione partendo dalle cosiddette “armi della persuasione”. Per far ciò ci serviremo del testo di Cialdini (1984) il quale individua sei categorie base per spiegare tale processo di influenza sociale.

<<Ciascuna di queste categorie è governata da un principio fondamentale che orienta e dirige il comportamento umano e pertanto dà alle tattiche usate il loro potere>>. (Ivi, p.5)

L’uomo utilizzerebbe delle euristiche, o scorciatoie mentali basate sull’esperienza per semplificare i compiti inferenziali, e attraverso queste l’autore individua le sei categorie base della persuasione che sono: reciprocità, coerenza, riprova sociale, simpatia, autorità e scarsità.

La prima categoria è quella della reciprocità, o regola del contraccambio, attraverso la quale ogni soggetto si sente obbligato a dover restituire un piacere, un dono ecc. a chi glielo ha regalato. Come dice lo stesso autore, “obbligato” in molte lingue assume il significato di grazie. Ovviamente chi non rispetta questa regola viene etichettato come ingrato, profittatore o parassita.

E’ facile da qui citare tutta una serie di esempi, che vanno dai campioni omaggio, agli assaggi di prodotti alimentari, alla caramella offerta dai rivenditori di auto. Cialdini suggerisce, come sia possibile dire no, quando un professionista della persuasione, cerca di estorcere il nostro assenso attraverso una falsa gentilezza. Ci mette però anche in guardia sui possibili effetti collaterali, citando l’esempio di un signore che ad una recita scolastica, aveva rifiutato, anche in modo sgarbato, il fiore offerto da una bambina, la quale doveva dare a tutti i partecipanti un fiore senza, in quel caso, pretendere niente in cambio.

Il secondo principio è quello dell’impegno e coerenza, con il quale si descrive l’impulso a sembrare ed essere coerenti con gli impegni presi.

Tale meccanismo fa sì che un individuo attui un comportamento massimo quando l’impegno è attivo, pubblico e faticoso, ma ciò che vincola più di tutti il soggetto è il sentire che ciò che fa gli appartiene, ed è per così dire una sua scelta interiore.

Ci sono varie tecniche usate dai professionisti della persuasione per mettere in atto tali meccanismi, come il far scrivere al soggetto le qualità di un prodotto. Nel caso dei rivenditori di auto, per esempio esiste una tecnica per cui si mostra un grosso vantaggio iniziale, uno sconto o una grossa agevolazione, ma al momento della stipula del contratto tale vantaggio viene tolto con garbo; in molti casi il soggetto firma il contratto vergognandosi quasi di aver cercato di approfittare della situazione. In queste circostanze, in cui il cliente ha perso il vantaggio iniziale, per cui aveva deciso di comprare l’auto, e cioè il grosso sconto, acquista il prodotto ugualmente perché ciò che rimane in piedi è la decisione iniziale di comprare l’auto.

Il terzo meccanismo è quello della riprova sociale.

<<In poche parole, secondo tale principio, uno dei mezzi che usiamo per decidere che cos’è giusto è cercar di scoprire che cosa gli altri considerano giusto. Il principio vale specialmente per determinare qual è il comportamento corretto da tenere in una data situazione: si tratti di decidere che cosa fare di un pacchetto vuoto al cinema, che velocità tenere in un tratto di autostrada, o come mangiare il pollo al ristorante, le azioni di quelle persone che abbiamo intorno avranno una parte importante nella decisione.>> (Ivi, p. 98)

E normalmente tale comportamento funziona più o meno bene. L’autore cita alcuni casi per spiegare come i professionisti usano tale meccanismo. Un esempio è quello delle risate artificiali in alcune commedie televisive, il telespettatore sa che quelle sono risate finte, eppure tale artificio funziona e fa sì che l’individuo sorrida più a lungo e quindi mostri maggior attenzione, anche se le battute sono scadenti.

Una delle condizioni in cui la riprova sociale funziona bene è quella della somiglianza.

<<Il principio di riprova sociale agisce con la massima efficacia quando osserviamo il comportamento di persone come noi>>. (Ivi, p. 115)

L’esempio negativo è il famoso “effetto Werter”, secondo il quale ad un suicidio ne seguirebbero altri dovuti all’emulazione di soggetti simili per esempio di età: se i giornali riportano il suicidio di un giovane, nel periodo successivo, sono giovani coloro che muoiono in incidenti stradali, se sono anziani, le vittime sono anch’esse anziane.

Si arriva così al quarto principio descritto da Cialdini, che è quello della simpatia. La ricerca ha individuato alcuni fattori che sono in grado di suscitare simpatia che sono: bellezza, detto anche “effetto alone”, in quanto agisce sull’individuo facendogli attribuire a persone di bell’aspetto altre caratteristiche positive come talento, gentilezza, onestà e intelligenza; somiglianza, perché piacciono le persone che sono simili; complimenti, in tal senso sapere che qualcuno prova ammirazione per noi ci induce a contraccambiare; contatto e cooperazione, l’esempio classico è quello del poliziotto buono e del poliziotto cattivo; infine, c’è un ultimo fattore che è quello del condizionamento e associazione, nell’esempio che cita l’autore è quello dei meteorologi che ricevono minacce se prevedono cattivo tempo.

<<Gli esempi sono moltissimi, ma mi parve che il più istruttivo […] fosse quello dei messi imperiali nell’antica Persia: se si presentavano al palazzo con la notizia di una vittoria erano trattati da eroi, ma se annunciavano una sconfitta li giustiziavano su due piedi.>> (Ivi, p. 150)

Un esempio, di simpatia è quello di usare il “noi” (<<Noi abbiamo vinto!>>), quando la propria squadra di football vince, mentre quando la squadra perde le forme più usate sono la terza persona (<<Hanno perso>>), oppure forme impersonali (<<E’ andata male>>).

Il quinto meccanismo è quello dell’autorità. L’importanza dell’autorità e il fenomeno dell’obbedienza sono stati oggetto di studio di Stanley Milgram (1974), nei suoi famosi esperimenti.

Cialdini (1984), sottolinea inoltre come alcuni simboli possano attivare l’acquiescenza dei soggetti, anche quando nella sostanza dei fatti l’autorità non c’è affatto.

I falsificatori di autorità possono utilizzare infatti titoli, abiti ed ornamenti, come un’automobile di lusso, o dei gioielli, per indurre il soggetto all’errore.

L’ultimo principio è quello della scarsità, secondo il quale le opportunità ci appaiono molto più desiderabili quando la loro disponibilità è limitata. L’esempio più classico è quello dei collezionisti, oppure le famose “offerte valide per pochi giorni”, che attivano il meccanismo dell’ora o mai più, provocando la “reattanza psicologica”.

<<Secondo questa teoria, ogni qualvolta la libertà di scelta è limitata o minacciata, il bisogno di mantenere le nostre libertà ci porta a desiderarle molto più di prima, con tutto ciò che ad esse è associato. Così, quando la scarsità (o qualunque altro fenomeno) interferisce nella nostra precedente libertà di accesso a un qualunque bene o servizio, reagiremo contro l’interferenza desiderando quel bene o servizio più di prima e sforzandoci tanto più per ottenerlo>>. (Ivi, p. 191)

Tutto sta nel distinguere tra una scarsità autentica ed una inventata da certi professionisti della persuasione.

Spiegati quali sono i meccanismi della persuasione, possiamo ora addentrarci all’interno dei tanti nuovi settori della pubblicità, come il product placement ed i fenomeni ad esso correlati.

Il product placement è uno degli strumenti che fanno parte delle nuove forme di pubblicità. Scrive Gerardo Corti (2004):

<<9 febbraio 2004: il decreto Urbani rende possibile anche in Italia il product placement, elevandolo improvvisamente da subdola pubblicità occulta a tecnica legale di comunicazione aziendale>>. (Ivi, p.10)

Che poi definisce:

<<Più in generale il product placement è una sofisticata tecnica di comunicazione aziendale che consiste nel posizionare un prodotto o un brand all’interno di un contesto narrativo precostituito (pellicola cinematografica, televisiva, romanzo, video musicale, videogioco, ecc.), riuscendo a integrarsi in esso>>. (Ivi, p. 12)

Quindi l’esposizione del prodotto non viene fatta come in uno spot in cui un’attrice elenca una serie infinita di pregi, ma si integra con la storia che lo spettatore sta guardando. Storia che, nel caso di un film, ha scelto lui stesso di guardare e quindi crea un ulteriore vantaggio in quanto la soglia di attenzione dello spettatore è alta, rispetto alla pubblicità nella quale l’individuo è costretto a guardarla.

<<E’ stato lui, infatti, a scegliere di vedere quel determinato film, ed è sempre lui a voler seguire con la massima attenzione tutto quello che accade sullo schermo, product placement compreso>>. (Ivi, p.13)

Ma qual è la storia del product placement? Secondo Gerardo Corti, intendendo questa pratica come una forma di mecenatismo in cui la sponsorizzazione dell’opera avviene in cambio di un posizionamento del proprio marchio – prodotto all’interno dell’opera stessa, le prime preistoriche forme di product placement vengono fatte risalire al Medioevo, quando era pratica comune raffigurare il mecenate, un personaggio in vista ma anche una nobile famiglia, all’interno di un opera pittorica. E cita il caso de <<La comitiva dei Re Magi di Benozzo Gozzoli (1460) esposto nel palazzo Medici – Riccardi a Firenze, in cui si può notare tutta la famiglia Medici al seguito dei Re Magi.>> (ivi, p. 16) ovviamente per accrescere la fama ed il prestigio della nobile famiglia all’interno della società.

CinématographeSi salta poi al 19 marzo 1895, quando i fratelli Lumière girarono il primo film della storia intitolato <<L’uscita degli operai dalla fabbrica Lumière>> (Ibidem), con lo scopo di amplificare l’importanza della loro società di lastre fotografiche. In precedenza alla nascita del cinema, vi erano stati dei timidi tentativi di product placement, per esempio agli esordi della fotografia, o in un filmato fatto con il bioscopio dai fratelli Skladanowsky, in cui vi sono ripresi i dadi da brodo Liebig.

Ma a parte questi tentativi, il primo vero esempio che cita Corti è quello del 1899 nel film <<Cripple Creek Bar- Room Scene […]. Dietro alla barista c’è un cartello con la scritta <<Ballantine’s>>. Ovviamente non si può sapere con certezza quale accordo ci sia stato fra la produzione Edison e la Ballantine’s, ma è certo che in quel periodo il cinema fosse sotto osservazione da parte delle aziende […]>>. (Ivi, p. 17)

Nel 1926 fa la sua prima comparsa un marchio che avrebbe influenzato molto lo sviluppo di questo mezzo di comunicazione, e cioè la Coca – Cola.

Si arriva così agli anni trenta in cui compare il cinema sonoro, e gli attori potevano tranquillamente chiedere una bibita, invece che berla semplicemente. L’autore quindi cita una serie di film in cui si può riscontrare il product placement, sia prima che dopo il secondo conflitto mondiale arrivando al 1963, quando nasce il più grande testimonial da film della storia, e cioè il mitico agente segreto 007 James Bond.

Legati a questo personaggio vengono pubblicizzati marchi di vini, champagne, auto, e non solo, ma vengono venduti anche una serie di oggetti e gadget, modellini di auto e abiti, del tutto simili a quelli utilizzati dallo 007.

Si arriva così attraverso molti altri esempi ai giorni nostri, e Corti spiega:

<<Ed è da poco uscito il nuovo film di Steven Spielberg, The Terminal, nel quale la produzione ha messo a disposizione di varie aziende interi spazi dell’immensa scenografia per costruire i propri stand.>> (Ivi, p. 22)

Tale fenomeno, è riscontrabile in molte cinematografie mondiali, anche in quelle meno diffuse, in cui i marchi sono all’ordine del giorno. Nelle produzioni orientali e cinesi, addirittura, le locandine riportano regolarmente gli sponsor contenuti all’interno del film.

In Italia, il primo product placement che si può trovare, è quello avvenuto durante l’epoca fascista con la nascita dei film di propaganda per mostrare il benessere garantito dal regime.

Dopo la guerra il fenomeno segue lo sviluppo economico del paese, anche grazie all’arrivo dei prodotti americani capitanati dalla Coca – Cola. Si arriva così al Carosello, in cui vi erano una serie di cortometraggi nei quali alla fine veniva presentato il prodotto.

<<Le pellicole, soprattutto quelle comiche, si riempiono di marche più o meno integrate. Se c’è stato un periodo storico nel quale, forse, sarebbe stato giusto vietare il product placement per proteggere lo spettatore <<indifeso>> è stato proprio questo, vista l’impreparazione degli italiani a questo tipo di comunicazione pubblicitaria.>> (Ivi, p. 23)

Product-Placement-Marlboro-anni70Negli anni settanta, ottanta e novanta il product placement dilaga in maniera incontrollata, finché non arriva il decreto legislativo 74/92 che dichiara illegale questo tipo di fenomeno paragonandolo alla pubblicità occulta, per l’assenza di trasparenza, e dichiarandola poco riconoscibile da parte dello spettatore.

Vengono tenuti quindi in considerazione alcuni elementi per dichiarare il fenomeno: la tutela del consumatore; la tutela degli autori; la tutela della cinematografia; infine, la tutela delle aziende concorrenti.

Ma quali sono le metodiche di posizionamento? L’autore identifica quattro tipologie, di cui la prima è quella dell’apparizione sotto forma di cartello, come per esempio manifesti pubblicitari, neon, insegne o negozi. Una seconda forma è quella di parlare del prodotto in maniera più o meno esplicita.

Esiste poi, un terzo metodo che è quello di far utilizzare il prodotto ai protagonisti della storia, per esempio attraverso un uso canonico, cioè una birra bevuta o un’auto guidata, oppure un uso improprio, come il cellulare di James Bond che rilascia scariche da 20mila volt.

Infine, esiste il caso di un posizionamento sbagliato, in cui per un errore di valutazione, oppure per una casualità, si fa capitare il prodotto che deve essere pubblicizzato, accanto ad un marchio concorrente che è già nella scenografia, esempio in un aeroporto. In un caso del genere, può accadere che il prodotto concorrente, in modo casuale, tragga vantaggio rispetto a quello che in realtà doveva essere reclamizzato.

Per valutare la qualità di un posizionamento all’interno di un film l’Associazione di product placement, ha elaborato il coefficiente Dy’s, che in una scala da 1 a 10, calcola la validità dell’operazione, partendo dai seguenti elementi di analisi: successo del film; corrispondenza tra il film e il target di riferimento; caratterizzazione del brand rispetto al target; visibilità del brand; posizionamento del brand; interazione tra prodotto e storia; interazione tra prodotto e protagonista; analogie prodotto – protagonista; coinvolgimento emotivo dello spettatore; rafforzamento immagine – prodotto.

Corti schematizza, inoltre, tutti i possibili media in cui è possibile fare un product placement: nelle fiction e nei film TV; nei telefilm; negli show televisivi; nelle serie a cartoni animati; nei fumetti; nei software; nei video musicali; nella pubblicità; nell’arte; nella fotografia; nella letteratura; negli spettacoli teatrali.

Il product placement può essere anche unbranded, cioè senza marchio, nel caso in cui si vogliono promuovere idee o nuovi tipi di tecnologia, come per esempio la videotelefonia. In questo caso una ditta, o un’insieme di ditte, sia italiane che straniere, possono usare questa tecnica per invogliare il consumatore a determinati tipi di acquisti.

Importante può essere anche il posto in cui si girano le scene di un film, tanto che sono nate le film commissions, che si occupano di location placement.

L’autore analizza anche il fenomeno della pubblicità redazionale.

<<Il fenomeno può essere, genericamente descritto così: all’interno di una pubblicazione su carta stampata, in mezzo a una serie di articoli o servizi <<normali>>, non distinto in nessuna maniera, si trova un articolo che, con apparente imparzialità, magnifica le doti di un bene o servizio destinato all’acquisto da parte dei consumatori.>> (Ivi, p.77)

In alcuni casi si ha un product placement redazionale, in cui in un articolo si parla di una serie di prodotti simili elogiandone uno in particolare.

<<Spesso è accaduto che, mentre in un servizio a pagina 4 di una rivista, in un confronto con altri prodotti simili, un dato marchio sia definito come <<migliore>>, a pagina 5 si riporti la pubblicità del prodotto stesso! In un caso come questo è possibile che il pubblico percepisca il sottinteso rapporto pubblicitario, ma cosa accade quando, ad esempio, la pubblicità è riportata magari a pagina 50?>> (Ivi, p. 78)

Tale comportamento diventa molto efficace soprattutto nei casi di riviste di genere, come auto o benessere, in cui il lettore è molto motivato, raggiungendo così lo scopo di un ottimo piazzamento, anche se, come sostiene Corti, tutto ciò può <<essere eticamente ancor più riprovevole>> (Ivi, p. 79)

Un settore che ha sempre destato molto interesse e clamore è quello della pubblicità subliminale. In questa sede, però, non analizzeremo tale fenomeno in quanto necessiterebbe di una più lunga trattazione, soprattutto per ciò che riguarda i contributi che la ricerca psicologica sperimentale in un senso, e la psicoanalisi in un altro, hanno dato. Sottolineiamo ciò che viene scritto nel testo di Gerardo Corti a commento dell’esperimento di Robert Zajonc:

<<Questo esperimento, comunque, si è rivelato particolarmente importante per il product placement perché è servito a dimostrare che il semplice porre un oggetto nella scena del film (una sorta di <<mera esposizione dell’oggetto>>), senza che esso diventi in qualche modo protagonista della storia, non garantisce alcun ricordo né una maggior gradevolezza.>> (Ivi, p. 95)

Da qui si può capire come gli studi sul fenomeno da parte degli esperti della pubblicità non abbiano mai fornito riscontri così plausibili da poter essere utilizzati in seguito.

L’importanza del product placement è stata sicuramente apprezzata, durante il corso della storia, da leader politici e regimi totalitari, laddove è stato fatto un largo uso di questo mezzo a fini propagandistici.

Corti spiega come durante i regimi totalitari, gli strumenti di comunicazione possano assumere un ruolo importante per la propaganda di convinzioni affini all’ideologia al potere, così come si è potuto osservare con il fascismo in Italia, il nazionalsocialismo in Germania ed anche il comunismo in Unione Sovietica.

<<Le tecniche attraverso cui è stata realizzata sono state molteplici: dallo slogan alla canzonetta, alle immagini, alla produzione di film, spot o cinegiornali, alla progettazione di campagne stampa. Tutte le più moderne tecnologie di una determinata epoca venivano sfruttate al meglio per poter indottrinare e influenzare le masse.>> (Ivi, p. 118)

Tali meccanismi, comunque, non sono stati utilizzati solo dai regimi, ma per esempio, anche gli alleati hanno commissionato film a registi famosi come Alfred Hitchcock, per dare un’immagine positiva della resistenza.

Senza volersi dilungare troppo su questo aspetto, ne conseguono due cose: la prima, è quella inerente la riprova sociale, attraverso la quale si cerca di convincere gli altri che un modello politico è buono; la seconda, riguarda l’aspetto dei dissidenti, o comunque coloro che non vengono accecati dalla mera riprova sociale e riescono ad avere un pensiero diverso dalla classe dirigente al potere, ciò molte volte dovuto al fatto di subire direttamente le conseguenze negative di tali ideologie.

Uno nuovo spazio per poter pubblicizzare è sicuramente Internet, attraverso cui viaggiano numerosissime forme di pubblicità. Si va dalle forme semplici, come link, banner e pop – up, per pubblicizzare siti di marchi famosi, ma anche di aziende che operano sulla stessa rete, a vere e proprie campagne di “E-mail marketing”, che utilizzando la posta elettronica applicando le strategie di marketing che in precedenza venivano fatte attraverso la posta ordinaria.

Una forma molto importante riguarda quella del posizionamento all’interno dei motori di ricerca. In tal senso esistono due tipi di accordi per gli sponsor di motori di ricerca: il primo, il pay per rank, in cui si paga il posizionamento; il secondo il, pay per link, in cui si paga l’effettivo contatto ottenuto grazie al posizionamento.

Vi sono inoltre, forme di propaganda sulla rete, apparentemente non create dall’azienda detentrice di un marchio, ma che parlano di quest’ultimo perché rappresenta ormai uno status, vedi i siti non ufficiali della Ferrari o dei collezionisti di Harley Davison, ma anche i siti dedicati ai collezionisti dei gadget della Coca – Cola o alle sorprese dell’ovetto Kinder. Infine, un modo per poter reclamizzare un marchio, è rappresentato anche da quelle forme di materiale goliardico o curioso che vanno da semplici foto fino a filmati e giochini demenziali. Le immagini pubblicitarie vengono spesso parodiate con scene simpatiche, molte volte rivolte ad argomenti di tipo sessuale, normalmente molto più spinti di quelli che è possibile utilizzare in una campagna pubblicitari. L’esempio che cita Corti è quello di una nota azienda di mobili, il cui catalogo era stato parodiato, sostituendo all’arredamento, belle ragazze nude. L’azienda, di sicuro da una situazione di questo genere, non ha ricavato nessuno svantaggio, in quanto il suo interesse è quello di far girare il suo marchio il più possibile, salvandosi dalle critiche negative ed associando tale “gioco” all’idea di qualche buontempone.

Lady-Gaga-Diet-Coke-Product-PlacementAltre piattaforme pubblicitarie molto note sono i videoclip di brani musicali, i trailer dei film, ma anche le sponsorizzazioni di eventi musicali, sportivi, culturali ed anche mondani.

Come afferma Gerardo Corti oggi viviamo nell’impossibilità di essere unbranded che poi scrive:

<<Le marche rappresentano ormai una presenza irrinunciabile nella nostra vita tanto che non possiamo nemmeno evitare di nominarle. Anche se non ce ne accorgiamo, ogni giorno siamo in contatto costante con loghi, marche, slogan e ovviamente con le pubblicità che li propongono>>. (Ivi, p. 186)

In conclusione possiamo dire che la pubblicità e tutte le forme di persuasione che vengono oggi utilizzate sono in continua evoluzione, e puntano ad integrarsi sempre di più con i nuovi strumenti comunicativi. Per quanto riguarda il seguente scritto abbiamo cercato di sviscerare i singoli elementi, descrivendo quelli che a nostro parere sono gli aspetti da tenere in considerazione, per una più precisa conoscenza del fenomeno.

Speriamo in questo senso di aver raggiunto lo scopo iniziale di chiarezza, incoraggiati anche dal fatto che se siete arrivati a questo punto della lettura, la vostra scelta iniziale di leggere l’articolo abbia giocato un po’ a nostro favore, inducendovi a considerare positiva questa esposizione.

Bibliografia.

Cialdini, R.B. (1984). Influence Psychology of Persuasion. New York: Quill William Morrow and Company, Inc. [Le armi della persuasione. Come e perché si finisce col dire di sì (1995). Firenze: Giunti Gruppo Editoriale].

Corti, G. (2004). Occulta sarà tua sorella! Pubblicità, product placement, persuasione: dalla psicologia subliminale ai nuovi media. Roma: Alberto Castelvecchi Editore s.r.l.

Milgram, S. (1974). Obedience to Autority: an experiental view. New York: Harper & Row. [Obbedienza all’autorità. Il celebre esperimento di Yale sul conflitto tra disciplina e coscienza (1975). Milano: Bompiani Editore].

Mucchi Faina, A. (1996). L’influenza sociale. Bologna: Il Mulino.

Siti internet:

http://www.jmnanddy.it

http://www.jmnanddy.com

www.escp-eap.net/conferences/marketing/pdf_2003/it/dalli.pdf

http://www.messaggisubliminali.it

http://www.yonkis.com/imagenes00/subliminal.htm